Cosa ho imparato viaggiando/ aka Il brulichio della vita

17 12 2008

Sta finendo anche questo anno. 12 mesi tra alti e bassi, soddisfazioni e delusioni, viaggi e ritorni.

Tempo fa riflettevo proprio su questo. Dopo tanto tempo in giro, cosa posso dire di avere imparato? Cosa ho visto?

Questa domanda si è poi scontrata con un commento fatto da un mio vecchio amico, notissimo fotografo di viaggi e grande giornalista di storie di vita on the road, il quale – apprezzando le mie foto – ha sempre notato, a suo dire, la mancanza di elemento “umano”. Pare che tenda a ritrarre più i paesaggi e i contesti ambientali rispetto alla presenza umana. In parte è vero.

Eppure…

Eppure viaggio con gli occhi aperti. Guardo la gente, la fotografo, guardo il paesaggio, lo fotografo. La gente crea il paesaggio e questo forma la gente che lo abita. I due elementi sono inscindibili.

E viaggiando ho capito che il mondo, alla fine, anche nei suoi più reconditi luoghi, è un continuo brulicare di vita. Cosa che accomuna tutti e tutto.

I villaggi Damara in Namibia, le tribù delle donne giraffa in Tailandia e Birmania, i Taquile sul lago Titicaca, i Sami del grande Nord artico, o ancora i poveri slum sudafricani o i berberi tunisini…non sono diversi da chi passeggia lungo la 5th avenue a New York o lungo gli Champs Elysee, o da coloro che si gustano una granita di caffè con panna ammirando il Pantheon romano o, ancora, dalle formiche giapponesi pigiate nella metropolitana di Tokyo.

E’ l’irresistibile potenza della vita ad accomunare tutti. Ovunque ci si alza la mattina, si prega qualcuno o qualcosa e ci si tuffa nel grande flusso. Chi cammina senza una meta apparente o chi salta sull’autobus che lo porterà a chiudersi in ufficio. Tutti.

Questo ho imparato.

E ho imparato che la fotografia mi aiuta a capire e a vedere ciò che da sempre ho davanti agli occhi. Spesso la vita non si lascia guardare negli occhi, ti lancia delle suggestioni, dei messaggi, ti regala dei satori, delle fulminee intuizioni.  Che la fretta, però, non ci fa cogliere nella loro pienezza.

Cerco di vincere tutto ciò con una fotografia. Per rivedere, forse, la vita e cogliere ciò che non sono riuscito a cogliere prima. Chissà, magari imparo altro…

Antonio

PS chiudo con un nuovo video (la scarsa qualità dell’immagine è dovuta alla conversione per YouTube). Un omaggio al fattore umano. La canzone, bellissima, è di Ben Harper ed è un urlo lanciato da tutti i Mister del mondo contro i pochi Mr che lo gestiscono.

La immagino cantata dai personaggi, i tanti Mr, che ho incrociato per strada ultimamente.





PLaying for change II: One Love. E se….

4 12 2008

La segnalazione dell’iniziativa Playing for change è stata apprezzata. L’idea è piaciuta.

Ecco il secondo video (o meglio, un estratto, visto che non riesco a trovare la versione intera):

Leggendo i commenti ricevuti qui e quelli trovati sugli altri blog (grazie) che hanno segnalato il video, sto cominciando a pensare. E se….e se anche noi facessimo qualcosa del genere? 

Magari non un video musicale (anche se si potrebbe, sia chiaro). Ma con qualcosa di piu’ immediato e facilmente realizzabile. Ad esempio, un’iniziativa fotografica comune.

Ho parecchie idee. Ve la sentite di provare?

Parliamone.

Antonio

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AGGIORNAMENTO

Fermi tutti, ho trovato un video più lungo. E’ un’intervista al fondatore dell’associazione Playing for Change, Mark Johnson.





Shoes for the Hopeless

27 10 2008

Venghino signore! Venghino! 🙂

Quando si parla di scarpe so che accorrete facilmente. Mi riferisco ad almeno un PAIO (appunto) di voi (felini, valigie, etc…).

Segnalo questo nuovo video di Brett Dennen che farà proprio al caso vostro.

ciao ciao,

Antonio





Ragione ed idiozia del viaggiatore: un video ed una riflessione

20 10 2008

E’ inutile, ultimamente mi è presa così. Segnalo un altro video musicale. Sempre Brett Dennen, questa volta la sua canzone, forse, più bella: Ain’t No Reason.

Cosa la lega al tema del blog? Beh, alcune sue scene e la considerazione che forse quasi tutti coloro che hanno visitato paesi del terzo mondo si sono posti: quale sia la ragione della sofferenza di certe popolazioni ed il senso di colpa che ne deriva.

Perchè è inutile negarlo, tutti abbiamo provato senso di colpa nel vedere un bambino affamato che chiede l’elemosina o una terra arida che inutilmente una tribù cerca di coltivare. Senso di colpa unito all’idiozia tipica del turista medio. Per intenderci, quello che in un mercato andino tratta sul prezzo anche se si tratta di pochissimi centesimi (che possono fare la differenza per il venditore, ma per noi giusto il solletico).

O l’idiozia di chi ordina una pizza in una bettola sul lago Titicaca e poi si lamenta perchè manca l’acciuga (SO per certo che interverrà adesso e lo spero).

O ancora, l’idiozia di chi, in un piccolo tempio buddista thailandese, si inginocchia e simula di pregare Buddha chiedendo di farsi fotografare così.

Cose del genere ne abbiamo viste tutti e ci siamo tutti interrogati sulla ragione. Beh, forse….ain’t no reason.

🙂

Antonio

PS raccontatemi gli episodi di idiozia del viaggio in cui vi